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UNA CORSA LEGGERA – capitolo 11

Spero di trovare Andreas. Stasera l’ho aspettato per un quarto d’ora, vorrei chiedergli una spiegazione.

Due bariste dietro al banco di legno dal piano d’acciaio sono concentrate nel loro lavoro. La ragazza dai capelli blu non alza mai gli occhi, se non per guardare la comanda. L’altra, in punta di piedi con il corpo allungato a raggiungere una bottiglia trasparente dal liquido arancione. I calici di spritz hanno un bell’aspetto, le cannucce in equilibrio e gli spicchi di limone a cavalcioni sul bordo del bicchiere.

Vedo Andreas, credo nella sua buona intenzione di venire a correre con me, considerando che è vestito con la tuta nera a fasce bianche e i soliti “mocassini da corsa”. Dal marsupio in vita con la cerniera mezza aperta, intravedo il pacchetto delle sigarette. Sta bevendo, probabilmente, l’ennesima birra. Il bicchiere di vetro sta sudando per la condensa. Andreas lo svuota a piccoli sorsi come volesse far passare il tempo. Il suo gomito è appoggiato sul banco di acciaio. Tutt’intorno, sottobicchieri impregnati come carte assorbenti e il fracasso continuo della slot-machine. Lo chiamo e cerco di farlo uscire.

«Andreas vieni fuori che ti devo parlare, voglio raccontarti i miei miglioramenti di oggi». «Non vedi che sto bevendo? Sto bene qui, e poi fuori non c’è da sedersi». «Guarda che non sei all’Oktoberfest» gli rispondo sottovoce. Il locale è pieno e un amico di Andreas mi offre da bere ma sono a digiuno e non mi va di ingurgitare alcol a stomaco vuoto. «Dai Tony bevi questa birra e non fare l’anticonformista, in Veneto va così, non si può rifiutare » insiste lui.

Sono entrato in una trappola per topi. Cerco di convincere Andreas a uscire per prendere un po’ di aria fresca. A me potrebbe aiutare a raffreddare il cervello. Sono nervoso, alzo la voce, gli dico di smettere, alcol e fumo sono un cocktail pericoloso e a me danno un fastidio tremendo. A lui non importa dei miei consigli, si accende un’altra sigaretta e ordina un’altra birra, stavolta rossa. Gli dico che non è così che si cambia passo, «adesso è un’altra storia» gli dico, «c’è un obbiettivo da raggiungere e le vecchie abitudini si sostituiscono come pezzi di ricambio».

Andreas ha la faccia stanca, i capelli rossi incollati sulla fronte come chi porta il parrucchino, la barba lunga, la giacca della tuta aperta e i pantaloni sintetici con il cavallo basso per il peso delle chiavi e del telefonino che tiene nelle tasche. Non mi ascolta, si guarda in giro.

Sta aspettando Christina, una ragazza tedesca…

un racconto di Sergio Rosolen

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