UNA CORSA LEGGERA – capitolo 13

Vado verso la cassa per pagare il conto. Dagli sguardi degli avventori ho l’impressione che qualcuno abbia assistito alla discussione.

I loro discorsi mi arrivano in lontananza, suoni ovattati. Sono così stordito che ho l’impressione che tutti parlino tedesco. Sposto una sedia che intralcia il mio passaggio, il rumore metallico delle gambe senza feltrino mi infastidisce. Pago ed esco. Il fumo mi ha disorientato i pensieri, come una giornata di nebbia fa perdere l’orientamento.

Non ho più punti di riferimento, cammino stanco con la rabbia addosso senza capire dove mi trovo. Quasi non riconosco la strada. Ricomincio a correre, la falcata è ampia e la velocità bassa. L’aria fredda entra senza ostacoli attraverso la maglietta. Stasera ho corso tanto e le mie gambe sono appesantite, avverto dolori agli stinchi, ho sovraccaricato la giornata di lavoro, troppi chilometri, troppo allenamento, troppe incomprensioni. È venerdì. Ho sabato e domenica per prendermi una pausa e riflettere.

Gli allenamenti con Andreas sono interrotti, ognuno ora si allena per conto proprio. Sono triste e rammaricato, chiamo Fiorenza e le chiedo se le va di accompagnarmi. Fiorenza è gentile e mi dà la sua disponibilità. Corriamo insieme tutte le volte che il tempo ce lo permette. La pista di atletica con il suo grande albero un pino marittimo è il nostro ritrovo. Spesso la aspetto seduto sotto l’albero che io chiamo “numero uno”. Vive sopra un piedistallo di terra e le sue radici arrivano fino alla pista.

Ci riscaldiamo le gambe percorrendo più volte il grande ovale rosso a otto corsie. Usciti dalla pista di atletica, percorriamo la ciclabile che costeggia il fiume. Fiorenza ama correre sull’argine, dice che la terra le trasmette energia ed è tutt’uno con la natura. Io corro sull’asfalto per allenarmi e abituarmi al terreno che dovrò affrontare durante maratonina. Fiorenza esibisce un abbigliamento da corsa sempre molto vivace. È una farfalla colorata, i suoi capelli raccolti a treccine saltellano sul dorso, sembrano le bacchette del batterista. Quelle trecce che battono sulla schiena mi danno il ritmo, potrei fare a meno del iPod.

Correre con la musica nelle orecchie è un integratore morale, ricevo sicuramente un energia maggiore, una carica, un turbo che…

un racconto di Sergio Rosolen

UNA CORSA LEGGERA – capitolo 12

Sta aspettando Christina, una ragazza tedesca, sua compagna di lavoro.

Christina arriva con un gilè e una minigonna in pelle nera, è tatuata ovunque, sembra un fumetto da sfogliare. Io mi allontano per delicatezza. Mentre loro parlano in tedesco, osservo i movimenti graziosi della ragazza. Christina è disinvolta, si sistema i capelli con abilità, forse faceva la parrucchiera, o la modella. È bella, ha un fisico atletico, sembra scolpito da Donatello. Sulla spalla ha un tatuaggio di una donna che corre.

Avrei voglia di avvicinarmi alla ragazza ma mi manca il coraggio, ho una esitazione, una vocina dentro di me mi dice di aspettare. Aspetto, guardo il telefonino, mi allontano e decido di lasciar perdere. Ma poi prevale la curiosità. Ho voglia di scoprire se l’amica di Andreas è una maratoneta.

Aspetto, cercando di cogliere qualche dettaglio in più. Il mio comportamento potrebbe irritare Andreas? Prendo l’iniziativa e piano piano mi avvicino. Le chiedo se è un’atleta, ma Andreas mi dà una spinta sul petto, mi fa indietreggiare e quasi perdo l’equilibrio. Cerco di spiegarmi senza reagire alla provocazione, ma lui è fuori di sé, mi avverte di non avvicinarmi, sembra geloso. Christina, nonostante il nervosismo di Andreas, è serena e composta, sembra sia abituata a scene del genere. Mi rassicura dicendomi che Andreas ha avuto una giornata difficile al lavoro, di portare pazienza.

Cerco di essere comprensivo. Mi immagino dentro una scena di un film « è autunno, un viale alberato pieno di foglie colorate, rosse, gialle, un verde appassito, e due persone che camminano su questo tappeto morbido parlando tranquillamente del passato e del futuro ». Ma questo è il mio film, la realtà è diversa.

Andreas, con voce metallica e il suo forte accento tedesco, mi avverte un’altra volta di non avvicinarmi a Christina, di stare alla larga anche da lui, mi dice «fatti gli affari tuoi. Sono stufo dei tuoi consigli su come si corre, di tutti questi discorsi sugli allenamenti programmati! Chi credi di essere?»

«Bravo! Continua così! Continua pure a ingozzarti di birra, è un ottimo integratore. Una pozione magica, come quella di Obelix» gli dico alterato. Decido: da domani ognuno si allenerà per conto proprio.

Andreas tira fuori una sigaretta dal marsupio, con il pollice e l’indice se la porta alla bocca, la accende, aspira quel veleno con tale forza che le due guance si toccano come i lati di un sacchetto sottovuoto. Un vizio intollerabile per un atleta che vuole vincere la Maratonina, ma la sigaretta continua a consumarsi con vigore, la brace è sempre più incandescente, il fumo ci separa come un’inferriata.

Vado verso la cassa per pagare il conto. Dagli sguardi degli avventori…

un racconto di Sergio Rosolen

UNA CORSA LEGGERA – capitolo 11

Spero di trovare Andreas. Stasera l’ho aspettato per un quarto d’ora, vorrei chiedergli una spiegazione.

Due bariste dietro al banco di legno dal piano d’acciaio sono concentrate nel loro lavoro. La ragazza dai capelli blu non alza mai gli occhi, se non per guardare la comanda. L’altra, in punta di piedi con il corpo allungato a raggiungere una bottiglia trasparente dal liquido arancione. I calici di spritz hanno un bell’aspetto, le cannucce in equilibrio e gli spicchi di limone a cavalcioni sul bordo del bicchiere.

Vedo Andreas, credo nella sua buona intenzione di venire a correre con me, considerando che è vestito con la tuta nera a fasce bianche e i soliti “mocassini da corsa”. Dal marsupio in vita con la cerniera mezza aperta, intravedo il pacchetto delle sigarette. Sta bevendo, probabilmente, l’ennesima birra. Il bicchiere di vetro sta sudando per la condensa. Andreas lo svuota a piccoli sorsi come volesse far passare il tempo. Il suo gomito è appoggiato sul banco di acciaio. Tutt’intorno, sottobicchieri impregnati come carte assorbenti e il fracasso continuo della slot-machine. Lo chiamo e cerco di farlo uscire.

«Andreas vieni fuori che ti devo parlare, voglio raccontarti i miei miglioramenti di oggi». «Non vedi che sto bevendo? Sto bene qui, e poi fuori non c’è da sedersi». «Guarda che non sei all’Oktoberfest» gli rispondo sottovoce. Il locale è pieno e un amico di Andreas mi offre da bere ma sono a digiuno e non mi va di ingurgitare alcol a stomaco vuoto. «Dai Tony bevi questa birra e non fare l’anticonformista, in Veneto va così, non si può rifiutare » insiste lui.

Sono entrato in una trappola per topi. Cerco di convincere Andreas a uscire per prendere un po’ di aria fresca. A me potrebbe aiutare a raffreddare il cervello. Sono nervoso, alzo la voce, gli dico di smettere, alcol e fumo sono un cocktail pericoloso e a me danno un fastidio tremendo. A lui non importa dei miei consigli, si accende un’altra sigaretta e ordina un’altra birra, stavolta rossa. Gli dico che non è così che si cambia passo, «adesso è un’altra storia» gli dico, «c’è un obbiettivo da raggiungere e le vecchie abitudini si sostituiscono come pezzi di ricambio».

Andreas ha la faccia stanca, i capelli rossi incollati sulla fronte come chi porta il parrucchino, la barba lunga, la giacca della tuta aperta e i pantaloni sintetici con il cavallo basso per il peso delle chiavi e del telefonino che tiene nelle tasche. Non mi ascolta, si guarda in giro.

Sta aspettando Christina, una ragazza tedesca…

un racconto di Sergio Rosolen

UNA CORSA LEGGERA – capitolo 10

Gli dico «Andreas la settimana prossima andrò a fare la visita sportiva, la prenoto anche per te». Il dottor Pierangelo, un mio caro amico, ci riceve simpaticamente. Tiene il camice bianco aperto sopra la maglietta nera e dal collo esce un cordino con un porta fortuna tibetano. Gli occhiali li tiene sul taschino e dalla tasca destra spunta lo stetoscopio. Ci chiede i documenti e ci fa accomodare nella sala d’aspetto. Seduto su una confortevole poltroncina i miei occhi guardano le fotografie appese al muro. Raccontano di una scalata su ghiaccio in terra peruvina, ci sono il dottore e altre persone vicino a delle tende. Sapevo che il mio amico dottore del centro medicina fosse uno sportivo ma non conoscevo la sua passione per l’alpinismo.

La visita sportiva di Andreas dura una mezz’oretta, ora tocca a me.

«Ciao Tony come va, ti vedo in forma.» mi dice il Dott. « Grazie Pierangelo sto bene, mi alleno giornalmente, quest’anno ho cambiato alimentazione, tantissima verdura e frutta, pochissimo alcol. » «Bravo Tony, è un’ottima scelta, voglio dirti in confidenza a proposito del tuo amico Andreas, il ragazzo è ok ma la prova spirometrica è scarsa, dovrebbe smettere di fumare.» mi raccomando, mi dice il dottore.

Le luci azzurre e rosse dell’insegna del caffè accompagnano l’acqua del fiume verso la pianura dove l’ultima inondazione ha spazzato via tutti gli alberi. Con passo rassegnato mi dirigo verso i riflessi colorati dell’acqua e mi avvicino al bar. I vetri appannati mi impediscono di vedere chi c’è dentro.

Entro con timidezza, sono spaesato come quando perdo l’orientamento. Mi muovo piano trattenendo il respiro, vorrei avere il passo felpato di un gatto, urtare qualcuno qui è facile, il bar è pieno e tanti hanno un bicchiere in mano. Sono a disagio, ho le scarpe da lavoro e pantaloncini da corsa. Mi sento avvampare, per lo sbalzo di temperatura, la schiena umida perché la maglietta è bagnata.

Spero di trovare Andreas. Stasera l’ho aspettato per un quarto d’ora…

un racconto di Sergio Rosolen

UNA CORSA LEGGERA – capitolo 9

La temperatura è bassa e c’è un po’ di umidità, il viale alberato disegna la strada verso la casa di Andreas. Suono il campanello, Andreas esce con la solita tuta nera e ai piedi i mocassini di cuoio.

All’improvviso ho un flashback nella mia mente: il ricordo dei sandali blu anni ’70 con gli occhietti e la suola in para, erano quelle le scarpe che adoperavo per le prime corse. Avevo cominciato a correre all’età di sette anni. Le strade erano praticamente tutte sterrate e buie, l’illuminazione solo vicino alle abitazioni. I miei sandali blu: ora li ricordo con simpatia, ma allora desideravo tanto un paio di scarpe da ginnastica. Mi ero appassionato alla corsa campestre dopo aver partecipato ai giochi della gioventù. Non era stata una bella gara, ero partito al massimo senza gestire le forze, al primo giro mi trovavo in testa al gruppo, ma poi l’energia cominciò a calare e arrivai tra gli ultimi. Non avevo e non ho il fisico da maratoneta, la natura mi ha fornito gambe con dei quadricipiti voluminosi e dei grossi polpacci, gambe adatte alla corsa veloce, mi ero fissato con la resistenza, ora si dice endurance.

Poco alla volta sono riuscito ad allenare il mio corpo alle lunghe distanze, ma senza grandi risultati. Decisi di iscrivermi alle prime marce organizzate dalle numerose società sportive. Si poteva scegliere la lunghezza tra due percorsi, uno corto e uno lungo. Conservo ancora le medaglie ricordo delle varie competizioni, alcune potevano diventare dei portachiavi, quelle più pesanti andavano bene come fermacarte, tutte sul retro portavano inciso il luogo, la data e il nome di quelle che allora si chiamavano marce. Nello stesso cassetto ci sono anche le foto in bianco nero, ritratto mentre corro con il “cartellino dei controlli” svolazzante appeso al collo.

Chissà perché Andreas corre e gioca a pallone con i mocassini di cuoio. Vederlo con la tuta nera infilata nei calzini bianchi e delle scarpe che non sono da corsa mi fa sorridere. Sono ammirato dal talento di quel ragazzo. Corriamo in pianura costeggiando il fiume, nell’acqua si specchiano le nuvole, osservo il cielo correre con noi, la nostra corsa continua in silenzio, ognuno con i propri pensieri. E il tempo scorre. Guardo il cronometro, cinque minuti al chilometro, questo il nostro ritmo del primo allenamento.

È una corsa dall’aspetto introspettivo, poche parole e il rumore delle suole sul terreno genera un ritmo delicato, quasi timido. Avremo corso per una decina di chilometri e ci stiamo avvicinando ai laghi, il percorso si intravede da lontano evidenziato dallo sterrato bianco che li costeggia, e dopo una leggera salita il nostro passo rallenta.

Gli dico «Andreas la settimana prossima andrò a fare la visita sportiva…

un racconto di Sergio Rosolen

UNA CORSA LEGGERA – capitolo 8

Andreas è riconoscibile all’istante, tuta nera a fasce bianche, ma soprattutto per il suo modo di correre: assomiglia a un corridore di atletica piuttosto che a un calciatore. Avrei voluto calciare anch’io, i giochi di squadra mi affascinano, giocatori complici, uniti a raggiungere un unico obbiettivo, la vittoria.

«Ciao Andreas, sei bello sudato, dai cambiati, ti va se ti accompagno a casa?» gli dico. «Ok, dammi due minuti che saluto gli amici e arrivo» risponde. Mi sono offerto di accompagnarlo a casa senza avere la più pallida idea di dove abiti.

Percorriamo la ciclabile illuminata da una luce giallo caldo, la foschia copre il fiume, assomiglia a una grande coperta bianca, sembra proteggere gli animali che ci vivono. Attraversiamo la provinciale e camminiamo verso il centro storico. Andreas cammina veloce e si diverte a saltare verso l’alto, allunga il braccio cercando di toccare con la mano i lampioni dei sottoportici come fa un giocatore di basket con il canestro, salta dentro i quadrati di marmo bianco e rosso, come quando da bambini ci si divertiva a saltare con un piede negli spazi disegnati sulla terra “il gioco della campana”.

La via che porta alla casa di Andreas è deserta, vicino ci sono le scalinate che portano al santuario. Mi racconta che tutte le mattine va al lavoro correndo ed è in questo modo che si tiene in forma. Gli dico «Hai voglia di partecipare alla Maratonina della Vittoria? Se vuoi ci possiamo allenare insieme, è un peccato che non sfrutti questo tuo talento» «Va bene Tony, a domani sera, ciao» risponde Andreas.

La temperatura è bassa e c’è un po’ di umidità …

un racconto di Sergio Rosolen

UNA CORSA LEGGERA – capitolo 7

Mi sto avvicinando al fiume, le mie gambe hanno percorso parecchi chilometri e Fido sembra stanco, mi guarda come dire andiamo a casa. A un certo punto fa uno scatto e insegue un pallone che attraversa la strada, scavalca l’argine e va verso il fiume. A rincorrere la sfera, un ragazzo con una tuta nera a strisce bianche, ai piedi dei mocassini di cuoio. Osservo meravigliato l’agilità con cui si muove.

I pantaloni della tuta sembrano corti, si vedono le caviglie sottili coperte da calzini bianchi che riflettono la luce dei lampioni, le scarpe dalle suole di corame fanno un rumore acuto, secco. Mi avvicino al ragazzo e mi presento: «Buona sera mi chiamo Tony, complimenti per l’eleganza della corsa». Fido annusa le scarpe di cuoio del ragazzo. «Buona sera, il mio nome è Andreas, il campo di calcetto è vicino al fiume e il pallone spesso dobbiamo rincorrerlo sperando che non finisca in acqua». «La prossima volta che giocate vi vengo a vedere, passo spesso di qua di corsa». «Ok, giochiamo giovedì sera alle 8, l’aspetto, arrivederci» dice Andreas tornando al campetto.

È giovedì sera, riduco l’allenamento così posso assistere alla partita di Andreas. Il pallone dentro al campetto gira come una biglia di acciaio dentro a un flipper, mi diverte vedere la palla formare delle linee rette, oblique, e verticali. Provo a immaginare il campo con dei giocatori invisibili, e la palla che va da una parte all’altra senza una logica, ma i calciatori ci sono e sono vestiti con delle tute di vari colori, non hanno la divisa. Si divertono e la precisione dei passaggi rende la partita piacevole.

Andreas è riconoscibile all’istante, tuta nera a fasce bianche, ma soprattutto per il suo modo di correre…

un racconto di Sergio Rosolen

UNA CORSA LEGGERA – capitolo 6

Siamo nel 1941. Un pomeriggio d’inverno, Carlo Soriani, un operaio delle Fornaci Brunori di Borgo San Lorenzo, scende dalla corriera e fa ritorno verso casa. Cammina sull’argine calpestando la neve appena caduta, nel fosso nota un cucciolo di cane ferito. Lo porta a casa, lo cura, lo adotta. Carlo chiamerà il cucciolo Fido.

Il cagnolino bianco con delle macchie nere gli sarà fedele per tutta la vita. Il simpatico Fido accompagnerà tulle le mattine il suo padrone alla fermata della corriera che Carlo prende per andare a lavorare. E tutte le sere Fido aspetterà il suo amico al ritorno dal lavoro. Purtroppo il 30 dicembre del 1943 i bombardamenti alleati colpiscono le fornaci dove lavora Carlo.

Quella sera, alla fermata della corriera, Fido non vede scendere il suo padrone. Sale nella corriera annusando tutti i sedili, ma Carlo non c’è. Fido torna a casa solo e la famiglia capisce che Carlo non farà più ritorno. Ma Fido per quattordici anni, tutti i pomeriggi, finché le gambe lo sostennero tornerà alla fermata della corriera sperando di veder scendere il suo padrone. I disegni ora li vedo sfuocati, ho gli occhi lucidi, mi sono commosso. Fiorenza mi guarda e mi dice: «Dai, andiamo a prendere un aperitivo».

Stasera l’allenamento con Fido avrà un valore diverso. Vedo il mio Fido correre lungo l’argine del fiume, per lui è sempre una novità si ferma ad annusare la terra, l’erba. Gli odori lo spingono alla ricerca di nuovi mondi, ma al mio richiamo scatta e mi insegue. Mi diverto a osservare le nostre ombre, ci spalmano sul terreno, ci deformano. L’ombra ci accorcia o ci allunga a seconda dell’altezza del sole. È simpatica, non si arrabbia mai e sta sempre al passo.

Per quanto io corra o rallenti, lei c’è, come Fido.

un racconto di Sergio Rosolen

UNA CORSA LEGGERA – capitolo 5

Al bar beviamo un caffè e racconto a Fiorenza la mia accurata ricerca per la forma fisica e la passione per la corsa, lei mi ascolta ma i suoi occhi sono attenti a una locandina appesa al banco del bar “Mostra Internazionale d’Illustrazione per l’Infanzia“. Fiorenza mi dice: «Dimentica la corsa per un momento e accompagnami a vedere la mostra, è qui al palazzo di fronte, vediamo se c’è qualche artista brasiliano».

Saliamo le scale e ci troviamo dentro un labirinto di disegni colorati che raccontano storie, fiabe immaginate da adulti da raccontare ai bambini. Percorro il labirinto, ammirando la precisione della mano degli artisti, sembrano maestri buddisti che dipingono mandala minuziosi. Storie fantastiche da tutto il mondo, paesaggi immaginati e dipinti. Mi soffermo su tre tavole incise a punta secca. La storia di Fido che è anche il nome del mio cane.

Siamo nel 1941. Un pomeriggio d’inverno, Carlo Soriani, un operaio delle Fornaci Brunori di Borgo San Lorenzo, scende dalla corriera e fa ritorno verso casa. Cammina sull’argine calpestando la neve appena caduta, sul fosso nota un cucciolo…

un racconto di Sergio Rosolen

UNA CORSA LEGGERA – capitolo 4

Approfitto del sabato mattina per collaudare la 500 e perlustrare il percorso della Maratonina. Il motore della storica canta senza mai stonare e mi viene in mente una canzone. Vengo a prenderti stasera sulla mia torpedo blu. L’auto sportiva che mi da un tono di gioventùSul sedile a fianco è seduta la bella Fiorenza una mia amica Brasiliana di origini italiane.

« La 500 è un’avventura, non sono mai salita su una vecchia 500, ha anche il tetto apribile» mi dice, curiosa. Senza paura apre il tettuccio e guarda il percorso come un commissario sportivo. «Tutto un’altra visione, è come guardare un film al cellulare o al cinema» osserva.

Viaggiamo tra le campagne,  la giornata è calda e la primavera germoglia.  Ci stiamo divertendo, attraversiamo un piccolo guado, l’acqua a contatto con la marmitta forma una nuvola bianca di vapore, siamo immersi in un mare bianco. Poco dopo sbuchiamo davanti a un bar dalla facciata affrescata che rappresenta il luogo dove ci troviamo, il ponte, il fiume, tanti bambini che salutano allegramente, ci sembra di essere dentro ad una festa. 

Al bar beviamo un caffè e racconto a Fiorenza la mia accurata ricerca per la forma fisica e la passione per la corsa…

un racconto di Sergio Rosolen